Storie di Pow(H)er Generation con Sofia Borri

Storie di Pow(H)er Generation è format di Cariplo Factory che mira a raccontare la leadership e imprenditorialità al femminile nell’ecosistema italiano delle startup. In questi mesi abbiamo raccontato le  storie di donne che hanno fatto la differenza e, in questo spazio, abbiamo ospitato imprenditrici, sportive, scienziate e manager di grandi aziende.

Storie di Pow(H)er Generation prosegue con l’intervista  di Laura Locati , Marketing Manager Cariplo Factory, a Sofia Borri, presidente di Piano C.

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Sei da sempre al fianco delle donne, speaker e formatrice sui temi dell’empowerment femminile e, grazie alla tua attività e importanti momenti di networking,  miri a ridurre il gender gap. Quanto ritieni essere importante il legame tra mentorship ed imprenditoria al femminile?

Il mentorship è sicuramente un’ esperienza positiva per chi affronta un percorso professionale e d’impresa. A maggior ragione se guardiamo al tema del femminile. 

Noi donne siamo state  meno educate a costruire un nostro network professionale. Non è che non si faccia, ma spesso lo si fa in maniera confusa e discontinua, senza necessariamente un obiettivo professionale. Spesso si prova una dimensione di solitudine, legata anche al grande rischio connesso alla professione, rischio che però si trasforma anche in grande forza adrenalinica, la quale non fa cessare le domande sulla giusta direzione intrapresa, sulla funzionalità del progetto. 

Per questo è importante costruire alleanze, costruire network. Soprattutto per le donne, orfane di modelli d’ispirazione imprenditoriale, e si potrebbe dire anche professionali. Non perché non ce ne siano, ma sono spesso meno visibili, meno considerate come modelli ed animate da minor diversità. 

L’altra parte, quella del mentor, è molto stimolante. Accompagnare una donna che si affaccia ad una sfida come quella imprenditoriale, è sicuramente sfidante per il mentor ed è, sicuramente,  una dimensione affascinante e ancora da esplorare, in costante divenire. 

Altro aspetto decisivo nella mentorship è quello della peer-to-peer, la mentorship alla pari. La condivisione delle esperienze è momento fondante per poter affrontare in modo nuovo le sfide dinamiche dell’impresa, e poter agire insieme. 

 

Sisterhood Is Powerful”. Una parola, sorellanza, che sembra avere un significato semplice ed immediato. La Treccani cita però anche un significato più recente, nato negli anni ’70 del Novecento all’interno dei movimenti femministi, che richiama un sentimento di reciproca solidarietà tra sconosciute accomunate dal fatto di essere donne.

Abbiamo letto che la tua vita è “piena di sorelle”, quanto ne guadagneremmo se tralasciassimo competitività e conflitti e sperimentando la sorellanza ogni giorno? 

Il tema della ‘Sisterhood’ ha attraversato come fil rouge una delle recenti uscite della newsletter di Piano C, Chiara

Sisterhood, o sorellanza è una parola nuova, che  inizia ad essere usata anche in in vari ambiti, dalla moda alla (cultura). Viene dunque il lemma , si sdoganato, ma rimane  comunque ancora fluido, sia nei significati, al di là di quello del dizionario,  sia sopratutto nel portato trasformativo. Ho sempre vissuto circondata da sorelle, ho tre sorelle, cresco due sorelle, da sempre le sorelle sono intorno a me. Ma questa sorellanza di pancia, d’ esperienza, non è sufficiente per esplorare la complessità e le potenzialità che semanticamente il termine si porta dietro. c’è di più.

Il tema della competitività è anch’esso decisivo e cruciale e si lega indissolubilmente a quello della Sisterhood: di solito si sente dire che le donne sono le peggiori nemiche di loro stesse e che vi sia una continua e carsica guerra tra donne. Il tema della competitività quando associato al femminile, dunque si ammanta di negativo. La competitività credo sia in realtà un motore indispensabile per migliorare e migliorarsi, per sperimentare e per fare nuove cose. Se dunque questa è positiva, può portare a ispirare e essere ispirati. 

Quando la competitività, al contrario, nasce da un disvalore che noi sentiamo per noi stesse, si è portate da uno sguardo esterno  a screditare e a non riconoscere il proprio valore, a percepirsi come un disvalore e non come qualcuno che può fare la differenza. Tutto ciò si può interrompere con la consapevolezza dell’essere libere e dell’essere noi stesse. Da lì inizieremo a leggere il nostro valore e a fare rete. Gli uomini giocano  con la competitività. Li muove la volontà di voler emulare o avere qualcuno al proprio fianco di cui però si riconosce già il valore.  Il pattern culturale in cui le donne sono state educate invece ha proposto l’idea dell’altra come nemica, come avversaria da battere per poter trovare il proprio posto nel mondo, in plurimi ambiti da quello scolastico a quello lavorativo fino a  quello privato. 

Credo che tutti ne guadagneremmo dalla Sisterhood, per non solo per tirare fuori il meglio di noi, ma soprattutto per leggere negli altri e nelle altre il meglio. Anche per fare e realizzare  progetti ed agire in qualcosa che ci interessa, lo sguardo della sorellanza può essere qualcosa di decisivo, un nuovo paradigma, un nuovo pattern culturale, un modo per cercare alleate. Si può trovare ovviamente anche a chi della sorellanza non interessa nulla ed anzi cerca nemiche. Basta solo guardare oltre ed andare avanti. La domanda e il primo pensiero deve essere sempre: cosa ho da temere da questa altra donna? non vale abbastanza;  forse perchè io stessa non riesco a percepire il mio valore.  Non è facile perché in questo humus siamo tutti nati e tutte cresciute. L’invito è lasciarsi stupire dal provare a scardinare un pattern mentale ormai endemico, anche con il rischio di esporsi  verso chi la sorellanza non la esercita e rischia di ferirci. La sorellanza è la strada. 

 

Aiuti «le donne a trovare un lavoro che gli piaccia di più», cercando di farle rimanere fedeli ai loro desideri. Come è nata l’idea di Piano C e quanto la tua esperienza personale ti ha aiutata nel tuo progetto lavorativo?

Qua è necessario passare al noi. Piano C è un progetto collettivo. Io non aiuto nessuno,  anzi spesso sono le donne in grado di aiutare loro stesse. Il vero tema è avere gli strumenti per poterlo fare ed autorizzare a farlo.  Il progetto Piano C nasce per far fronte ad un’evidenza, che posso sintetizzare con spreco di talento, di numerose donne,  di progettualità, di desiderio di incidere nel mondo del lavoro da parte di numerose donne che in tal modo rischiano di sentirsi e alla fine, di diventare invisibili.  Smettendo di vedere e percepire l’unicità del loro talento e che , soprattutto, smettono di autorizzare a metterlo al mondo. Questo produce un costo non solo per le donne ma anche per il paese intero.  Produce un inefficienza, una perdita di capitale umano. 

Di fronte a questa evidenza, nasce Piano C. Piano C vuole offrire alle donne strumenti  per rimettersi in moto nel mercato del lavoro e anche fare dei salti evolutivi e migliorativi nello stesso,  pensando al lavoro non come ad un compromesso, ma cercando il lavoro maggiormente adatto a noi , il lavoro che ci piaccia di più, nel quale si può riuscire  a dare il meglio di sé e proporre a noi stessi degli obiettivi sfidanti.

Abbiamo scoperto nel corso del tempo, che quasi sempre, nelle donne della nostra community e che fanno networking, c’è già tutto. Non sono vasi vuoti da riempire con gap di competenze. Il tema è portare alla luce , portare consapevolezza di quel valore, che permette di essere anche agente di sorellanza e offrire strumenti per potersi affacciare al mondo del lavoro. La cosa che attraversa le donne nel mondo del lavoro è la solitudine. Ciò è legato sia alle scelte personali, come avere dei figli, che sono scelte che in teoria sono decise in coppia, ma che poi ricadono sulla vita professionale sulle donne. E questa scelta è difficile, comporta dei sacrifici e si configura a lunfgo andare titanica.  Apre alcune strade non conciliabili. Un po’ mi accontento e non mi sobbarco la scelta titanica di ricordare al mondo che io ho un progetto lavorativo. Quello che fa Piano C è dunque, è creare uno spazio, sia fisico, con la community e il network, sia mentale; offrire gli strumenti per permettere alle donne di raccontare la propria unicità,  perché se una donna  in un mercato del lavoro in continuo mutamento, per cercare il lavoro giusto per sé, cerca di nascondersi e di nascondere il proprio essere, alla fine diventa invisibile e sparisce e finisce per non essere vista dai datori di lavoro. Bisogna comprendere e cambiare prospettiva. dobbiamo capire il nostro valore per proporlo al mercato del lavoro.  Piano C compie anche un lavoro di advocacy e di lobbing, per ricordare all’economia e al  mercato del lavoro che di quel talento se ne può fare qualcosa.

La mia esperienza personale è totalmente intrecciata con Piano C. Sono una donna che ha deciso di fare impresa con due gravidanze molto vicine tra loro. Ho vissuto sulla mia pelle la forza di un network così ampio. Da sola non ce l’avrei mai fatta. Senza la community di Piano C e  neppure senza le alleanze personali, come ad esempio il mio compagno di vita e tutte quelle  alleanze allargate che ti spingono sempre a non rinunciare ma ad andare avanti, attraverso vari modi.  chi offrendo il proprio aiuto e chi offrendo  il proprio sguardo, chi porgendo uan parola, una suggestione. Scegliamoci queste alleanze e coltiviamole, non quelle che ci mettono i ceppi ai piedi. E’ vero, Ci sono molti muri alti e rigidi nel mondo del lavoro, il quale è spesso espulsivo per le donne e fa fatica  ad assumere visioni diverse per temi come ad esempio  la maternità,  che dovrebbero essere già integrati.  Capisco e comprendo anche la fatica delle donne che si trovano in ambienti ostili.  Ma, su questi muri, ci sono anche delle  brecce, delle aperture. Cerchiamo di avere la lucidità per scardinare queste visioni, che non corrispondono minimamente alle nuove generazioni, per aprire strade nuove. 

 

Qual è il tuo stile di leadership? Come hai capito che stile di leadership volevi agire nella tua vita professionale? 

E’ un aspetto questo in cui riesco a vedere una progressione temporale. Cristallizzare l’idea di leadership di modelli da seguire, specialmente in un mondo in continua mutazione come quello attuale, è molto rischioso. 

Io ho attraversato varie fasi. una lunga fase di queste è stata quella legata all’imitazione e all’adozione di stili di leadership terzi, che vedevo in altri a me vicini. Mi sono trovata a dare vita ad un progetto  e a coordinare persone agendo con un modello di leadership, che potrei definire come molto maschile, che ho trovato incarnato però anche in molte donne. Il modello consiste nell’ avere un uomo o  una donna sola al comando, condottiera che guarda avanti ha le redini del percorso e si gira indietro nei momenti difficili, comuni nella vita d’impresa, e di fronte allo scenario di grandi incognite mostrare sicurezza e volontà di accentrare ancora di più le responsabilità sulla sua persona. Questo modello può avere una declinazione testosteronica anche violenta e brutale, nella quale si esclude qualunque tipo di apporto terzo da parte di altri anche all’interno dello stesso gruppo, ma può anche scivolare nella dimensione di paternalismo e maternalismo.  Per la quale l’adozione di responsabilità aumenta le spalle larghe e la sua conseguente maggiore adozione di responsabilità. In questa versione che può sembrare meno maschilista e più contemporanea, mi sono sentita scomoda ad un certo punto. Alternavo momenti in cui provavo a seguire la mia indole molto collaborativa ma sempre lenita nella sua dicotomia interna con la responsabilità decisionale ultima.

 Avevo individuato alcuni limiti di questo modello: la solitudine del pensiero. Se si prova a fare innovazione sociale è quasi quotidiana l’interrogazione sulla correttezza delle azioni, innovare significa anche aprire nuove strade intorno a noi e continuare a chiedere l’intuizione  geniale e la cosa giusta. Ho iniziato a trovare questo dubbio come sterile, non generativo.  La risposta a questo è da trovarsi in un cambio di prospettiva. Ho iniziato a guardare all’interno della mio gruppo di lavoro,  e a scoprire che era da lì che potevo trarre delle suggestioni diverse da quelle alle quali ero stata abituata o mi ero abituata. E questo ha implicato  due cose: rimettere al centro la sfida organizzativa ed imprenditoriale e lasciarla andare ed accettare che diventi qualcosa di nuovo rispetto a quello per cui l’hai ideata, esponendola al rischio di più menti; dall’altra  questo rende necessario un passaggio personale nel quale devi separarti dal tuo progetto e non fare più aderire totalmente al tuo risultato professionale. E’ un processo fisiologico molto difficile e complesso. Hai paura di perdere qualcosa per sempre. ma anche in una fase dolorosa e in questa esperienza di leadership collaborativa, diffusa, generativa, a non sentirmi indispensabile, cedere spazio a chi può fare anche più di me. E’ stato difficile ma a Piano C ho capito ridistribuendo i pezzi di potere di esserci comunque, di vedere il porto successivo. Ciò mi ha anche permesso di liberare degli spazi di evoluzione personale per me e professionale e dimensione che può diventare asfittica, nella quale mi sarei potuta perdere. Questa è la differenza tra leader e capo. 

 

 

 

Grazie a Sofia Borri per aver condiviso la sua storia per aver condiviso con noi la sua storia, con la speranza che sia fonte d’ispirazione e consapevolezza.

 

 

Per maggiori informazioni sull’iniziativa  Pow(H)er Generation ti invitiamo a scoprire di più sul sito ufficiale di Cariplo Factory.